
Zucchero, custode della Pianura Padana.
Sono stata ieri sera all’Arena di Verona a riascoltarlo. Non era la prima volta e, al di là degli indiscutibili giudizi artistici – i miei positivi, ovviamente – su di lui, la sua band e lo spettacolo, ho finalmente messo a fuoco perché Zucchero è, a tutti gli effetti, il perfetto custode della Pianura Padana.
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La gioia semplice del divertimento.
Diverte e fa divertire. Le melodie e i ritmi rock-blues padani si fondono con sonorità funky e caraibiche. È il sogno che esplode, come quando qualcuno porta al bar del paese le foto del suo viaggio a Cuba: mondi diversi che si incontrano, restando comunque a casa. -
L’amore per le donne.
Ama le donne in senso pieno. Non sono una postilla, ma protagoniste. Dalle partigiane alle nonne, passando per gli amori, le voci, i corpi che ballano sotto il palco. Con Zucchero le donne sono radici e futuro, quotidiano e mito. -
L’osteria come filosofia di vita.
Godereccio, conviviale, legato alla cultura del buon cibo e del buon bere. Una visione che rimanda subito alle osterie padane, a quel culto della tavola che ha reso queste terre una delle food valley (per dirla alla Tamani) d’Italia. Ironia, piacere, la capacità di saper godere il buono della vita. -
Le malinconie.
Profonde, graffianti, sacre. Un rispetto autentico per il dolore e la tristezza, che non annientano ma elevano. Sono le malinconie della nebbia, dei campi silenziosi, dei ricordi che graffiano ma sanno anche scaldare. -
L’identità.
Il rispetto per radici, terra, tradizioni, storie, personaggi: con ogni brano Zucchero restituisce il senso pieno della Pianura Padana. È un modo di sentirsi a casa, anche solo con le prime note di una canzone.
Solo una sana e consapevole libidine – anche padana – ci salverà.
Grazie, Zucchero.
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